mercoledì 28 ottobre 2015

Pattada (d.ssa Lucrezia Campus) - Ola Patada

Pattada (d.ssa  Lucrezia Campus)

l paese di Pattada Sull’etimologia del nome “Pattada”, variamente scritto Paçada, Patada, una volta Posada e Pathata come ancora si pronuncia nel Nuorese, Spanola vuole semitica con il significato di “domicilio felice”. Il Bellieni lo fa derivare da patulalata, cioè “luogo esteso”, con riferimento alla vastità dell’orizzonte: la teoria non è linguisticamente valida, perché il suffisso -lata nel passaggio dal latino al sardo sarebbe conservato, come nella parola agrumulada. Vale la pena osservare che il toponimo più volte presente in Sardegna è sempre collegato a un sito con un nuraghe: né manca l’interpretazione popolare che lo fa derivare dal patto stretto per il trasferimento con gli abitanti dei villaggi abbandonati per unirsi a Pattada, salvo Lerron e Bantine, sul primo dei quali si scagliò una maledizione perché finisse distrutto come i leggendari cavalli verdi e così fu! Il paese conserva pochi esempi di architettura domestica tipica cinque-seicentesca, caratterizzata da costruzioni che sfruttavano il costone roccioso per ricavare sottani e cantine, disporre di due ingressi a sud e a nord e di un cortile anteriore o posteriore. Le murature erano in grosse scaglie di granito, più raramente in conci dalla vicina Buddusò o di tufo trachitico di Ozieri. Sono abbellite talvolta da soglie e architravi in trachite, ornate da motivi a fiamma e scritte augurali cinque-settecentesche come: “Si inimicus exurierit ciba illum”. Begli esempi e meglio conservati sono i palazzotti privati dell’Ottocento e nei primi del Novecento, in particolare nella via Roma, frutto di un rinnovamento urbanistico di quegli anni, che si attuò lungo il perimetro sud ed est del centro storico, rimasto invariato per secoli e compreso entro il cerchio disegnato dalle chiese. Per chi arriva da nord e ovest il paese si presenta contornato da una splendida pineta, motivo della sua frequentazione turistico-climatica. Conta 4144 unità immobiliari. Le strade si aprono a formare capienti piazze e ampi slarghi, insoliti in un paese di montagna, dove si trovano varie fonti di granito di fine Ottocento. Una riqualificazione dell’abitato nel centro storico e delle periferie fra gli anni 1995-2005 ha rivitalizzato e dotato il centro di nuovi servizi. Oggi sono disponibili un moderno palazzetto polivalente dello sport, due campi sportivi, un centro culturale, un centro sociale che accoglie il centro anziani, attività giovanili, servizi sanitari, un centro handicap, laboratori per il tempo libero, ludoteca, estesi tutti anche alla vicina Bantine, anch’essa riqualificata e dotata, come Pattada, della rete del gas. Dopo lunga contrapposizione si ottenne un istituto scolastico unitario che comprende dalla scuola materna alla media inferiore di primo grado, cui seguì una generale ristrutturazione degli edifici scolastici. Attiva anche una scuola dell’infanzia parrocchiale nata nel 1916, un baby parking e l’ospizio San Francesco, sorto all’inizio del Novecento sull’area di un distrutto convento francescano.
Il patrimonio artistico subì un notevole depauperamento nel dopoguerra con la scomparsa dei dipinti del Tintoretto. Un restauro ha consentito di conservare l’altare ligneo cinquecentesco della Trinità nella parrocchiale e quello seicentesco nella chiesa di San Giovanni, e ancora, un complesso di statue lignee del
Quattrocento e Cinquecento. Fra le chiese si segnala la duecentesca chiesa di San Michele di Biduvè, le cinquecentesche Santa Sabina e del Santissimo Salvatore, oggi del Rosario, caratterizzata, unico esempio dopo il San Gavino di Torres, da presbiteri contrapposti. Bantine, dal tracciato ancora medievale, ha due chiese, San Giacomo e San Pietro, la seconda conserva i banconi laterali lungo la navata di ascendenza bizantina e superiormente aggiustamenti gotico-aragonesi. Opere di Pinuccio Sciola ornano Piazza dei Poeti di Sardegna e piazza dei Poeti di Pattada. Il centro attira da sempre il turismo sia perché stazione climatica, sia per i prodotti artigianali. Ha una capacità ricettiva di 170 posti letto, due alberghi e agriturismi in zone di particolare pregio paesaggistico.
L’attività economica prevalente rimane la pastorizia che, secondo l’anagrafe di Teramo, conta 421 aziende, di cui 114 di bovini con 2060 capi, 114 di ovini con 27.774 capi, 10 di caprini con 500 capre, 131 di suini con 890, 55 di equini, 3 di api, una di conigli. La cooperativa dedicata solo al latte ovino è una delle prime dieci in Sardegna e ha trasformato nel 2008 11.084.232 litri di latte: la sua produzione di pecorino romano è quasi interamente esportata in America, il resto nel mercato regionale e nazionale. Il latte vaccino è lavorato in parte in piccoli caseifici per la produzione di peritas, sorta di caciocavallo. Per il resto si contano due pastifici, due pasticcerie, tre forni, tre esercizi per l’abbigliamento, sette per gli alimenti, tre le cartolibrerie. Un solo esercizio fornisce strumentazione artigianale. Una decina le imprese dedite all’edilizia, due ai lavori forestali. Di recente attivazione un salumificio e un allevamento di lumache.
Il paese è noto a livello internazionale per l’artigianato del ferro che conta 12 aziende, in particolare per la produzione ancora tutta manuale dei raffinati coltelli a serramanico chiamati resoldzas. Coltelli così rinomati, e allo stesso tempo diffusi, sin dal tempo antico, tanto che sono celebrati dai poeti: Remunnu ’e Locu di Bitti, ad esempio, se la prendeva con un coltellinaio pattadese perché aveva messo un’arma in mano ai suoi compaesani: Malaittu Canale patadesu / ch’at postu sos vitichesos in resoglia (“Maledetto Canalis di Pattada che ha messo il coltello in mano ai bittesi”). Non meno apprezzato l’artigianato del legno, che conta 4 aziende e una liuteria per la produzione di violini e altri strumenti a corda che hanno un buon mercato in Giappone. In ripresa la produzione del torrone. Il centro ha una elevata scolarità, che insieme ad altri fattori ha alimentato l’emigrazione. Notevole il numero di pendolari che lavorano nel terziario. Nel 1900 frequentavano le superiori 73 studenti; trent’anni dopo 129, di cui 31 femmine; in tempi recenti, ma non di obbligatorietà alla frequenza, 215 sui 245 ragazzi tra 14 e 18 anni.
Usi e Costumi e Personaggi Illustri La modernità del vivere non ha fatto dimenticare le tradizioni, cui la popolazione rimane fortemente attaccata. Culturalmente vivace, ha dato vita ad una forma di premio letterario insolito, apprezzato in tutta l’isola, e negli ultimi anni a una produzione letteraria in limba e in italiano. È netta, però, la frattura nei modi di vita fra le generazioni anche nell’uso della lingua materna, sebbene ancora molto esteso. Si parla come a Bonorva e Osilo un logudorese arcaico:
spesso si usa volgere al femminile i cognomi delle donne (Cossa da Cossu, Alza da Vargiu ecc.); la lingua si sta trasformando ad esempio con la vocalizzazione finale. È ancora frequente la confezione dei dolci e dei pani delle feste, come i càbudes, peltusitas e giuadas e la celebrazione di rituali, con il dono di latte e yogurt da parte dei pastori, per la festa del loro patrono San Giovanni. Il Carnevale, a metà fra quello di Bosa e quelli del Nuorese, ha corsi e ricorsi.
Momenti importanti per tutta la comunità sono le feste della patrona Santa Sabina (29 agosto), di San Giovanni (24 giugno) e il Carmelo (16 luglio). Nelle processioni solenni i simulacri sono preceduti da una guardia di cavalieri che sostengono grandi e preziose bandiere e avvolgendone i lembi intorno alle spalle. Frequentatissime in queste occasioni festive le corse acrobatiche a cavallo. È plurisecolare l’usanza del pellegrinaggio a Nostra Segnora ’e Crasta a maggio (data mobile) lungo la via romana di Sa Pedra Peltusa e quella a Bitti, dove i cavalieri con le bandiere accompagnano la Madonna del Miracolo al santuario di Gorofai: sono occasioni in cui si indossano i costumi tradizionali, tuttora confezionati e richiesti, anche se standardizzati sui tre modelli più recenti, che erano in uso per le donne nel dopoguerra per differenziare le classi di appartenenza: le gonne hanno una plissettatura molto fine in vita, che diventa più larga dal ginocchio. Unica la foggia maschile, rimodernata dall’uso del pantalone di orbace al posto delle ragas e portata dagli anziani ancora negli anni Ottanta del Novecento. Gli abitanti, espiritosos (“vivaci”) y atrividos (“impetuosi”), ma anche fra i più laboriosi del Monte Acuto, per dirla con l’Olmedilla, cui fa eco l’Angius che li dice «di buon umore, di notevole spirito, facili nel parlare, pronti nell’agire, impetuosi, imaginosi, anime poetiche», hanno espresso poeti famosi. Fra i contemporanei si ricordano Antoni Palitta, Nanneddu Cambone, Peppinu Fogarizzu, Pedru Mazza, Zuseppe Monzitta.
Stranamente l’Angius non menziona personaggi di rilievo del paese, che pure godevano di notorietà ai suoi tempi o in passato. Ai primi del Seicento don Salvador Sini fu conseller dei Borgia; don Giovanni Becciu divenne per nomina reale commissario generale di artiglieria alla morte di don Lucifero Carcassone nel 1681; don Girolamo Dettori ebbe la carica di commissario con pieni poteri contro il banditismo (1748); Mussiù Pattada (forse un Sanna), dopo la grazia concessa dalla regina ai primi dell’Ottocento per intercessione del padre Chessa, si distinse nelle azioni contro le bande della Planargia e Bonorva. Altri appartennero a vario titolo alla chiesa: il Padre Chessa, gesuita, confessore della vice-regina e dei reali rifugiatisi in Sardegna durante la bufera napoleonica: sicuramente egli intervenne anche per riabilitare al sacerdozio col titolo di arciprete a Buddusò il congiunto Antonio Campus (morto nel 1836); condannato per gravi colpe, causa l’attiva partecipazione ai moti angioini, aveva perduto la sua nomina ad arcivescovo di Genova ed era stato espulso dal sacerdozio. Altri religiosi ebbero prestigio come poeti: popolarissimi del Settecento Giovan Pietro Cubeddu, detto “Padre Luca”, e Pietro Pisurzi fondatori della tradizione arcadica della poesia “pastorale” in Sardegna. Filippo Campus (1817-1887), grande teologo insignito dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro per l’opera di soccorso durante il colera del 1855 che colpì Porto Torres e Sassari, divenne vescovo di Tempio e Ampurias: si distinse per l’azione sociale e civile e perciò il comune di Pattada ha adottato come proprio il suo stemma vescovile. Altri furono noti nella magistratura: Antonio Campus (1821-1906), consigliere di Cassazione a Roma e presidente della corte d’appello di Napoli; Giovanni Maria Campus (1849-1939), anch’egli consigliere di Cassazione a Roma, nel 1919 primo presidente; Giovanni Antonio Campus (1854-1930), avvocato generale della Corte d’appello di Torino, che legò il suo patrimonio agli studenti poveri di Pattada e all’ospedale di Sassari. Alla fine del Novecento l’insigne microbiologo Toeddu Sanna divenne preside dell’Università Cattolica di Roma e nei primi anni di questo secolo un altro pattadese, Angelino Becciu, è stato ordinato arcivescovo ed è attualmente nunzio apostolico in Angola.
Testi di Lucrezia Campus
Dizionario Storico-Geografico dei Comuni della Sardegna
Carlo Delfino editore


‘ola Patada
Dae parizas biddas t’an frommada
unendesi in cucuru de monte,,
da’ Iduvè, Lerron s’incaminada
leadu at sa zente custu fronte.
e dae 'Unne an fatu sa pigada
impare a Bidducara an fatu ponte,
solu ‘Antina s’est arrenegada
ebbai sol’ inie est restada.
Sa idda de Patada in poesia
at mastros de altissimu valore,
dae Lerno, monte Unne a sa Pastia
bi 'olat una musa fat’ astore,
su monte d’ Elicona chi est imbia
lu paschet de idda unu pastore,
totu poetas sun sos patadesos
lezerigan sos coros de' sos pesos.
‘Ola Patada, chin sos fizos tuos
as alimentu 'e poder navigare,
totue digna 'e poder andare
lacanas brinca, tancadas a rujos,
Ap’bidu zente noa tribagliare
in bighinados jaros e iscuros,
b’at pinzos noos in jaos de muros
in frailes de su ferr' atalzare.
Intendo noamente su sonare
su zoccu de malteddu e de su ferru,
chissà chi custu impedat su disterru
a sos piseddos chi cheren restare.
Eppoi s’asci’ e su male in interru
paret chi siat postu a ilmentigare,
si sighit su bonu semenare
si passat in beranu dae s'ijerru..
Non dedas cara a chie nde narat male
de sa comunidade patadesa,
est solu zente mal’ e vilipesa
tiat cherrer chi su raju bi falet.
e tando muntenimus cuss' intesa
comente siamus totu che carrale,
azis a bider chi chei su sale
at a cundire su piat’ in lestresa.
Posta in su montiju soliana
a lacana ‘e Barbagia e Logudoro,
dende sas palas a sa travuntana
abbaidas sos montes de Nuoro.
Totu a mie ispantu mannu dana
sas baddes chin sa natura issoro,
dae sant’ Ainzu abbelta sa ventana
de vista e piaghere nd’assaboro.
De Monte lerno e cussa punta cana
sas rocas mi cunfoltana su coro,
cando tanco sos ojos mi ristoro
iisculto cussas frinas d’aria sana.
Sas notes jaras sun puntirinadas
dae sas biddas postas sut’ e te,
t’ adornan comente bellas damas
chi allegran sa corte de su re.
Ma tue rejna de sas pius famadas
de zeltu no las cheres sut’ e pè,
a totu rendes glorias meritadas
chena pedire nudda, ne pelchè.
Sut’ e Limbara bi nd’ at duas pasadas:
Tul’ e Belchidda chi brillana de se,
a s’ ater’ ala sos montes de Lodè:
Osidda e Buddusò benin miradas.
De monte Santu a terr’ e Meilogu
s’ iden sas frommas chi sa natura dada,
antigas terras de vulcanos e fogu
‘ue Aldara e Mores collocada.
Dae Coghinas a Sant’ Antiogu
‘e Crasta chin basilica pesada,
est un’ ispantu totu cantu su logu
chi s’idet dae sa punta de Patada.
Paret chi siat resessidu jogu
chi sa natura at dadu a sa leada,
in frommas divescias colorada
onzi disizu at apidu s’isfogu.
Sarda sa limba e sa faeddada:
indulchis d’ armonia s’orizonte,
tue sa pius bella in s’ incuntrada
posta ses in sa sedda de su monte.
Pares sa reginella tue pasada
subr’ e su passamanu de su ponte,
dae totu mirada e ‘antada
ses tue sa idda mia ..oh !!!Patada.
torra Pattada..no m' istes assente
nessi in su coro e sa fantasia
sia atesu o sia presente
sempre ti gito ligad' a sa mente
Dae atesu ammento a bidda mia
Faeddos chi muntenen limba ‘ia
Che tando, totu restat comente
Nudda passat .. ses tue sa pitzinnia..!!


Lussorio Cambiganu

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